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mercoledì 12 settembre 2012

DIARIO DI UN MAESTRO

DIARIO DI UN MAESTRO


Cast: Bruno Cirino, Massimo Bonini, Luciano Del Croce, Tullio Altamura, Marisa Fabbri
Anno: 1972
Durata: 290'
Genere: Drammatico, Documentario

Voto: 10
 
Trama
Un giovane insegnante fresco di università Bruno D'Angelo (Bruno Cirino) ottiene una cattedra in una classe di quinta elementare nella borgata romana di Pietralata. Il gruppo degli alunni è indisciplinato e irrequieto, ma il professore non solo recupera sulla strada quelli che da un po' non si presentavano a lezione, ma impartisce loro un tipo di insegnamento per nulla cattedratico ma che mette al centro i talenti dei discenti. Il biasimo di colleghi e preside non tarda però ad arrivare.

Recensione
"Vittorio De Seta: un antropologo che si esprime con la voce di un poeta": la sponsorizzazione di Martin Scorsese, per quanto lusinghiera, non preclude a De Seta la possibilità e il merito di brillare di luce propria.
Totale realismo e minuziosa analisi antropologica: ambiti e intenti che con Vittorio De Seta abbracciano spesso la perfetta espressione. Il cineasta nato in Sicilia e naturalizzato calabrese ha più volte respirato la possenza e l'odore della strada; fosse esso un pastore, un pescatore, un minatore, l'uomo di De Seta non è mai
stato ritratto con spettacolarizzazione, anzi il regista ha documentato i suoi giorni, il suo lavoro, suoi affetti con lucidità.
Tale approccio esplode a piene mani in Diario di un maestro, sceneggiato televisivo in quattro puntate mandato in onda dalla Rai nel 1973 e tratto dal libro autobiografico "Un anno a Pietralata" di Albino Bernardini. De Seta conduce lo spettatore per più di quattro ore con una narrazione che bacia il dramma e il documentario in modo incredibilmente verista; i giovani attori, tutti presi dalla strada ed effettivamente residenti nelle borgate di Tiburtino, Pietralata e La torraccia, non recitano una parte ma sono sé stessi. Il regista li disciplina mettendo la loro spontaneità al servizio della storia. Per praticamente tutto il film non pare di assistere ad una fiction; è come se invece una telecamera si insinuasse per caso in una mattinata in un'aula scolastica. Tessuto connettivo e raccordo drammaturgico la prova attoriale di Bruno Cirino, non un semplice attore qui, né tanto meno un mestierante, ma capace di incarnare un ruolo complicato con delicatezza, sensibilità e tempi cinematografici sensazionali.
De Seta parla di scuola e parte dalla dicotomia con cui si biforca il metodo pedagogico: da un lato la vetusta impostazione cattedratica per cui l'alunno equivale a una bottiglia vuota da riempire, dall'altro l'impostazione più moderna che reputa chi impara un interlocutore attivo. Da un lato dunque i colleghi gelosi e sospettosi del maestro D'Angelo, dall'altro la sua passione e il suo porsi al di fuori delle regole. Un approccio più da educatore lo connota: recupera casa per casa nelle borgate gli assenti, rifugge date e nozionismi, invita in aula persone che spieghino i fenomeni dopo averli provati, elimina la cattedra e i banchi individuali. In poche parole parte da argomenti che interessano ai ragazzi poiché gli stessi fanno parte della loro vita reale, quotidiana e da quelli declina le materie curriculari.
De Seta si permette il lusso, ingaggiando nelle riprese un consulente pedagogico, di ampliare lo spettro della sua analisi servendo allo spettatore prelibatezze come la vita in borgata, un destino segnato dalla necessità del lavoro minorile legato alla povertà famigliare, la legalità, la vita disfunzionale nelle case popolari, la mediazione dei conflitti e la gestione della violenza. Un variopinto arcobaleno di suggestioni orchestrato con indescrivibile vèrve da un regista che giustamente e più volte ha ricevuto riconoscimenti formali per le sue capacità documentali.
Ciò che realmente stupisce per quanto è in grado di frantumare lo schermo del televisore è la pazienza certosina con cui il regista scandisce i tempi di permanenza dei ragazzini in classe, i loro dialoghi, il loro rapporto con il professore. Con un metodo così diverso da certe fiction italiane di questi anni (dove il sistematico strizzare l'occhio allo spettatore si fa ricattatorio e invadente), De Seta lascia che il flusso comunicazionale si propaghi, ondeggi, si prenda i suoi tempi. La telecamera indaga, ritrae, non giudica, ma racconta, porta a conoscenza, non interrompe uno scambio di battute anche se di primo acchito parrebbe che quest'ultimo non stia esprimendo chissà cosa.
Questo film insomma, il cui alto valore morale incede a braccetto in ipotetici fiori d'arancio con la rendicontazione etnografica, si fa trattato pedagogico e può toccare le più sommesse corde di coloro i quali nel campo dell'educazione ci lavorano. Costoro troveranno in Diario di un maestro non solo secchiate di verità ma anche piccole grandi dinamiche che connotano la loro professione quotidiana. E lo spettatore dall'udito più fine in alcuni casi sarebbe indotto ad emozionarsi profondendo lacrime per l'oceano di umanità e di intelligenza che si trova dinnanzi, ma non piange. Non piange perchè De Seta non vuole far piangere; vuole anzi descrivere senza tranelli, senza pietismo, intende indurre dinamismo emozionale e intellettivo tramite un andamento apparentemente statico.
La fotografia di Luciano Tovoli e le musiche di Bruno Nicolai corredano un quadro di insieme che manda in solluchero il concetto del cinema-cultura come cibo per la mente.