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sabato 8 dicembre 2012

TUNNEL EROINA

TUNNEL EROINA
Regia: Maurizio Pirri
Anno: 1980
Durata: 94'
Genere: drammatico 

Voto: 7

Trama:
Marco (Helmut Berger) è romano, tossicomane ma originario di una famiglia potente dell'alta borghesia con gli agganci giusti; sceglie però di essere la pecora nera e trascorre le sue giornate cercando
espedienti che gli procurino il denaro per bucarsi. Gli fanno compagnia Pina (Corinne Cléry), la sua ragazza, e Toby (Marzio Honorato). Ma deve arginare le angherie di un pusher (Franco Citti) che lo odia a morte.

Recensione:
Il problema della tossicodipendenza cominciò a preoccupare seriamente amministratori e gente comune a partire dalla fine degli anni '70 per diventare questione sociale endemica nella decade successiva. A questo periodo vanno datati un pugno di film sull'argomento, tra cui «Tunnel eroina». Rispetto ad altre esperienze coeve, come «Amoretossico» di Claudio Caligari (1983) o «Christianne F. – Noi iragazzi dello zoo di Berlino (1981), la pellicola di Maurizio Pirri si colloca ad un livello artistico inferiore, ma non per questo va trascurata.
Il cast in primis: riuscire in una botta sola a radunare gente del calibro di Berger (solita grande prova per lui tre anni dopo «La belva col mitra»), della Cléry e di Citti (amatissimo da Pasolini), non è da tutti. E infatti loro ricambiano con generosità ed efficacia, lasciando tre personaggi veramente scolpiti e debordanti. Completano il quadro Marzio Honorato (attore in moltissime pellicole del B italiano, ma anche di film d'autore e negli ultimi 15 anni impegnato nella soup «Un posto al sole»), decisamente performante, e una serie di altri personaggi più o meno conosciuti da chi mastica il filone come Roberto Caporali, Karl Zinny, Aldo Bufi Landi, Francesca Ciardi (che nello stesso anno prese parte a «Cannibal holocaust»).
Gli attori consentono di dipingere un quadro d'insieme, se non di qualità estrema, convincente e a tratti coinvolgente. Il film si dipana senza risparmiare allo spettatore nulla: dagli aghi che penetrano le braccia (famosa la scena della Cléry che si droga nella passera; chissà cosa dev'essere stato al cinema!), agli ambienti squallidi e degradati, al bus diroccato che funge da casa, ai pestaggi furiosi (incredibile quello di Citti ai danni di Berger). Il doppiaggio rende merito alla furia che falcidia queste esistenze allo sbando: da sottolineare che Marco/Berger ha la voce di Sergio Di Stefano, deceduto nel 2010 e doppiatore del drugo Alex DeLarge e del Dr.House).
Loschi ceffi si annidano in bar malfamati, lobotomizzati zombie disposti a vendere gli organi della madre, forse, per soddisfare l'impellente necessità dello «schizzo», dell'amata «ero», ricercatori di un'adrenalina esplosiva ma mostro compulsivo madido di morte.
Facciamo un paragone con «Amore tossico»: laddove in quest'ultimo Caligari riuscì a determinare un tale esame di realtà da raggelare lo spettatore, Pirri non fu in grado di spingersi in modo tanto sublime. I suoi in fondo erano attori professionisti, pagati per fingere di amare la sostanza. I personaggi di Caligari nella vita erano tossicomani, recitavano se stessi e, se dovevano dimostrare di «stare a rota» in crisi di astinenza, dovevano semplicemente ricercare in loro stessi.
Da segnalare anche le ottime musiche del gruppo rock-new wave dei The Pretenders, che accompagnano per la visione dell'intero film; colonna sonora veramente da ricordare, molto ritmica, fresca, suggestiva, che contribuisce con un valore aggiunto decisivo. Il gruppo contrappunterà dopo il 1980 moltissime pellicole anche famose e serie tv.
Si potrebbe intravedere certa critica ai molli e turpi costumi dell'alta borghesia, ma il concetto viene solo abbozzato in sede di sceneggiatura. Certo Marco si stacca con decisione dall'humus da cui proviene per abbracciare la suburbia come ragione di vita. Refrattario a qualsivoglia giudizio, non si fa alcun problema a minacciare la ex moglie per estorcerle denaro o utilizzare i doni monetari del fratello per acquistare la roba. In tal senso non suscita nessuna pietà nello spettatore, anzi in alcuni casi repelle; Pirri non costruisce i personaggi per suscitare una vicinanza empatica, anzi ne descrive le giornate quasi prendendone le distanze. E ciò non è poco, anzi va lodato.
Sceneggiatura scritta da Pirri come Morando Morandini Jr.
Oltre che notevole per gli amanti del genere, l'opera va considerata documento artistico di peso per la piaga sociale dell'eroina fra due decadi.