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domenica 17 febbraio 2013

DARKO MC: INTERVISTA A UN VOCALIST HARDSTYLE

Una voce stentorea, possente ma cristallina scandisce le notti di musica hard fra Torino e Santhià ormai da tanti anni. Una voce che non si fa mai grido, latrato, ma accompagnamento rispettoso e incentivante legato al sogno, alla favola, al racconto di tanti viaggi fatti di «durezza» frammista a mind tripping, body shacking, unione rituale. Chi si fregia di tale ruolo è Darko MC, al secolo Fabio Scandre, vocalist che accompagna i followers di musica hardstyle nelle numerose serate dell'organizzazione Insound. Dando sempre
l'impressione di tenere in pugno la situazione sia per il polso della pista che per la gestione del timbro vocale, Darko entra sempre con la giusta distanza nel mood della festa, contribuendo a fomentarlo senza opprimerlo con una presenza troppo marcata. Una scelta precisa che l'ha condotto ad occupare la residenza di Insound e l'ha imposto come una della voci storiche della nightlife torinese.

E' evidente tu sia partito come grande appassionato di musica. Che cosa ti ha spinto a misurarti con il ruolo di vocalist e a non appostarti per esempio dietro a una consolle come dj?
La passione per la musica si dipinge in varie tonalità: ho scelto il ruolo di vocalist perché mi permette di avere più contatto con le persone e per meglio esprimere quello che penso rispetto a quanto può permettere un disco. Si ha un controllo sulla situazione serata non solo vocale e si può cambiare la situazione in pochi secondi. Proprio in questo mese di febbraio 2013 sono dieci anni che opero in discoteca; mi avvicinai all'ambiente agli inizi degli anni 2000 facendo il pr in una domenica pomeriggio al «Goa» di Avigliana (To). Allora venivo dal rap ma una persona già inserita mi diede una cassetta raccomandandosi di ascoltarla fino alla fine. Sentii allora questa musica che mi sembrava tutta uguale con questo soggetto di cui non capivo l'utilità. Il giorno dopo ci ritrovammo e lui mi disse: «Tu da sabato prossimo vieni a casa mia e proviamo con il microfono a lavorare come fa quello della cassetta». Fu gentile, mi comprò il microfono, cominciammo in taverna, feste private, pub, feste di paese fino alla discoteca.

Ti sei poi unito a Insound, con cui collabori anche adesso?
No, all'inizio facevo parte della concorrenza; sapevo che generi trattavano e che tipo di ospiti portavano, ma non mi ero mai avvicinato. Con loro siamo al terzo anno di lavoro insieme, iniziai qualche natale fa con Tatanka; ci fu l'occasione di parlare con Double C e Marco Demolition per entrare nello staff. Il resto è storia.

Saprai bene che in circolazione ci sono persone che, al solo pronunciare il vocabolo «vocalist», sono colte da convulsioni. In che modo a tuo parere un bravo vocalist riesce a entrare nel giusto mood della nottata senza invadere? E in che modo concepisci il tuo essere vocalist?
C'è una bella differenza fra chi lo fa per passione e chi solo per farsi vedere: se ne vedono tantissimi di entrambi gli schieramenti. Io appartengo alla prima categoria e questo significa sbattersi anche quando la serata promette malissimo, metterci l'anima e, ci fossero solo tre persone nel locale, saperle coinvolgerle. Un altro modo di comportarsi è non seguire il dj, il ritmo; quindi fare interventi fuori tempo, abbassare la musica, tutto per farsi notare. Qualche volta un vocalist rende meglio in silenzio, capendo che un disco tramettere meglio di quanto potrebbe fare la voce.

Non ho ben chiaro in generale come si è sviluppata questa figura nel corso del tempo nell'universo del clubbing; mi puoi raccontare qualcosa in proposito?
La figura in dieci anni si è completamente ribaltata: in Italia prima non si poteva pensare a una festa senza vocalist soprattutto sulla techno, quella che oggi chiamiamo «remember». La gente era abituata a farsi trasportare e a farsi raccontare le fiabe da una voce; parlo di Douplé, Ultimo impero, Dylan e altri locali storici. Oggi questo si è indebolito ed è cambiato il rapporto con il pubblico, si tende ad andare verso il party straniero, in cui il vocalist presenta l'artista e poi si defila limitandosi a pochi interventi mirati. Oggi si tende a valutare quasi solo il dj, ma alcuni vocalist italiani erano talmente potenti da essere l'equivalente di un dj.

Il vocalist nasce prettamente in ambito dance?
Secondo me nasce ovunque qualcuno voglia intrattenere un pubblico.

Mi incuriosisce quello che ti può scattare dentro a livello emotivo quando sei alla consolle e vedi tutta quella gente sotto con le mani alzate verso il cielo. Ho più chiaro quello che potrebbe provare il dj, ma tu come te la vivi in quei momenti?
Con un senso di onnipotenza, forza immensa: immaginare la pista con le mani su e realizzare la cosa subito dopo è fantastico. E altrettanto fantastico è sentirsi parte di questo grande spettacolo.

Io non sono particolarmente timido, ma non so come reagirei se, mentre sto su un palco, la gente sotto rimanesse impagliata e fredda. In quei casi che si fa?
Lì viene fuori la differenza fra chi sa come intervenire e chi si improvvisa. Ci sono momenti in cui occorre riempire momenti difficili e fuori programma come un disco che salta, un calo di corrente, disordini pubblici. Questa è la bellezza di far funzionare tutto.

Ci sono particolari accorgimenti che utilizzi per mantenere sempre la voce all'altezza? Ti è mai capitato di dover salire sul palco senza voce, magari con un po' di laringite o influenza? Cosa si fa in quei casi sfortunati?
Non mi è mai capitato: in dieci anni mai un calo di voce dopo una serata. Io ho la voce bassissima, riesco a equilibrarmi con la parlata un po' più forte senza urlo, quindi non sforzo mai troppo le corde vocali. E' una fortuna che ho senza avere studiato; qualche volta il mal di gola mi ha spaventato, soprattutto prima di serate importanti. Ma la tisana della mamma ha sempre fatto effetto.

Parliamo più in generale: hardstyle e hardcore, i generi principali delle serate in cui lavori, hanno subito tanti cambiamenti in questi ultimi anni. Come ti poni al riguardo?
Non sono molto contento di questi sviluppi: l'hardstyle prima aveva paletti più definiti, oggi non sono troppo fiero della contaminazione con l'hardcore. Occorre organizzare serate in cui ci sono entrambe, ma con un divario ben preciso; in certi casi non mi trovo invece.

Ravvisi delle differenze fra i pubblici di Torino (allo Chalet club) e Santhià (Spazio A4)?
Ravviso un diverso gusto musicale: allo Chalet la gente va più verso il commerciale, è più tranquilla; sarà per l'influenza di altri generi che di sabato sera impazzano. Trovo invece a Santhià, ma anche in zona Susa, Vercelli, la tendenza al suono veramente duro. E questo è interessante notarlo anche nel pubblico femminile; allo Spazio sono tutti più spietati nel ballo e nell'attitudine.

Non so abiti proprio a Torino, ma di certo la conoscerai meglio di me, che ho un'idea sommaria di questa città. Come giudichi oggi il suo livello civico generale, la sua vivibilità e le sue possibilità di divertimento notturno?
Si sta muovendo qualcosa in senso positivo, la situazione è migliore di qualche anno fa. Da un punto di vista civico ci sono cose che vanno peggio, come alcuni quartieri periferici, però non mi lamenterei troppo. Si sta dando spazio a qualsiasi forma di divertimento, una volta ricordo più difficoltà a trovare la serata giusta.

Stupisci me i miei lettori: non ti chiedo di farmi dei nomi di artisti e producers hard, ma di altri cantanti o gruppi di altri generi che segui con passione.
Vado pazzo per Lady GaGa e vivo di Queen e adoro ancora il rap.

Visto che siamo in periodi elettorali: che cosa ritieni che la politica nel concreto dovrebbe fare per favorire l'intrattenimento notturno dei ragazzi?
Nel nostro Paese si parte ancora dal preconcetto della nonna che ci mettono la droga nella consumazione per finire nel fatto che tutti spacciano; io so che se una persona la cerca, la trova, ma se vai solo per divertirti ti diverti e basta. E questo è valido anche per le risse: non si viene mai picchiati casualmente. In un clima come questo i politici hanno da promettere cose ben più importanti del divertimento giovanile; capiscano che i problemi che vengono sottoposti al genere musicale ci sono ovunque e non solo nel mondo notturno.