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giovedì 18 aprile 2013

INTERVISTA A CHIARA CONTI, ATTRICE

Chiara Conti e Vittorio Giacci, direttore artistico del BA film festival
Nel volto una carezzevole miscellanea di modernità e tradizione, occhi che parlano di sfida e al contempo riservatezza, tenerezza e spregiudicatezza, eloquio che si prende i suoi tempi e voce fine. 
Fa bene l'attrice Chiara Conti a giocare le sue carte con ragionevolezza in un'industria del cinema che, come tutti gli ambiti professionali oggi come oggi, non aspetta nessuno, ma talvolta riconosce al talento di emergere. E di tali qualità si è accorto il regista napoletano Tony D'Angelo, che l'ha scelta per il ruolo di protagonista nel suo ultimo lavoro uscito a dicembre 2012 «L'innocenza di Clara». Il cineasta, appassionato al cinema di genere in questo noir/drama ambientato tra le rocce marmoree di Carrara, ha sfruttato ciò che di buono è in grado di offrire Chiara, ovvero provocazione e libertà ma assenza di
volgare approccio sentimentale. Ne è sortito un ritratto di donna accattivante e seducente che non abbisogna di forme corporee scoperte per addivenire a un risultato drammaturgico. E il curriculum della Conti già le aveva consentito di giocare una parte similare ne «L'ora di religione» di Marco Bellocchio; curriculum che registra partecipazioni a «H2odio» di Alex Infascelli, a due film di FrancoBattiato, oltre che a varie serie tv tra cui «Distretto di polizia».

Ringrazio Emilia Carnaghi dell'ufficio stampa del Busto Arsizio film festival per la preziosa disponibilità.

Parlami del film in concorso al BA festival «L'innocenza di Clara».

E' la storia di Clara, una donna di provincia che si sposa con un ragazzo e lo raggiunge in questo piccolissimo paese sospeso in una mentalità profondamente maschile e retrograda. Le donne lì devono rimanere a casa a cucinare e pulire, gli uomini lavorano e vanno a caccia; lei però arriva da una realtà più grande, è una persona diversa, solare, a cui piacere giocare e sconvolge la vita agli uomini della storia. L'aspetto significativo è che crea scompiglio senza rendersene conto, inconsciamente, da qui l'innocenza del titolo.

Il personaggio è forte e attraente, hai dovuto ricercare dentro di te, dal tuo passato, dei riferimenti per incarnarlo meglio?

Ho comunque visto diversi film su donne che portano scompiglio, il cinema abbonda di femme fatale; ogni donna comunque questa attitudine ce l'ha innata e ogni attrice sogna di interpretare almeno una volta questo ruolo.

Come ti sei trovata nel lavoro quotidiano con il regista e la troupe?

Ho letto la sceneggiatura, era bellissima, poi il film è stato montato in modo diverso; non conoscevo Tony D'Angelo, l'aiuto regista mi contattò e andai a fare un incontro. Mi trovai davanti questo giovane uomo di 35 anni, con la faccia un po' da bambino, che si è poi rilevato una persona con grandissima sicurezza, mille idee e capace di farci giocare sul set con molta libertà. Ci disse: «Io le battute non le voglio, fate le vostre battute» ed è stato stimolante mettersi in gioco senza recitare a memoria e affidarsi alla fiducia che ci ha dato.

Un film in cui locations e ambiente fungono da protagonista aggiunto, non è vero?

Abbiamo girato creando un'autentica famiglia, molti giorni fuori sempre con tutta la troupe; è un posto incredibile lassù, con le cave di marmo, con questi colori accesi ma anche cupi e dove incombe davvero la pressione di queste montagne. Tony ci disse che non gli interessavano i primi piani, ma solo persone che si perdessero in quell'immenso contesto.

Che tipo di distribuzione in sala ha avuto il film?

Piccola, poche copie che continuano a fare il giro in alcune città; il riscontro del pubblico è stato positivo e le critiche molto buone, questo ripaga del lavoro svolto. Credo e spero che entro giugno esca il dvd.

Hai già collaborato con registi di primo nome; c'è qualche esperienza che ti ha lasciato professionalmente e umanamente qualcosa più di altre?

Prescindendo dal fatto che ogni volta ricavi lezioni e stimoli, ovviamente sono affezionata a «L'ora di religione» di Bellocchio, il mio film con un ruolo bellissimo, conoscendo in Marco e in Sergio Castellitto due persone incredibili. Una volta lessi una critica per cui Clara è il proseguimento di Diana Sereni, il mio personaggio de «L'ora di religione». E poi «H2odio», che ebbe una distribuzione particolare, in digipack nelle edicole, un modo di agire molto valido che, e non me lo so spiegare, non è stato più percorso. Era il primo di un progetto che doveva continuare, con otto registi, ma si è fermato tutto. Quel film mi ha dato molto per il confronto con un regista molto diverso da Bellocchio; lui ha il potere di farsi capire alla lettera solo con la forza del volto, senza parlare troppo, mentre Alex Infascelli studia come sei fatta e sa dove colpire per ottenere quello che vuole.

Senza contare il tuo lavoro per la televisione; che differenza hai riscontrato fra piccolo e grande schermo?

Hi fatto «Le cinquegiornate di Milano» con Carlo Lizzani; «Butta la luna», una serie che andata molto bene, pulita, che parlava di bambini e adozioni e in cui io ero psicologa infantile. E poi «Ris» e «Distretto di polizia». Differenze? Beh la velocità: in televisione è tutto più immediato e svelto e proprio per questo diventa una palestra pazzesca. Lì fai 10 scene al giorno, in un film 2; entri nel personaggio fino a un certo punto, nel cinema ti affezioni invece di più a quello che fai e sei anche più «coccolata» dal regista.

Perché il cinema di genere non riesce a raggiungere la diffusione di qualche decennio fa o comunque il largo pubblico anche oggi? Almeno in Italia, perché in Francia le cose stanno in maniera molto diversa.

Se uno stile funziona, si continua a farlo perché rende con sicurezza; ad esempio ci abbiamo messo 12 anni a capire che era ora di smetterla con il «Grande fratello». Per i noir e i drammatici ci sono pochissimi soldi, si devono fare i salti mortali per la distribuzione; per fortuna ci seguono gli appassionati, che pochi non sono, ma la maggior parte della gente abbocca a quello che va per la maggiore.

Oppure stanno a galla coloro che hanno già storicizzato un curriculum, no?

Certo! Il fatto di non avere una promozione è terribile; già è complicato essere distribuiti, ma se poi nessuno tu pubblicizza, resti nell'ombra anche se il tuo lavoro è ottimo. Tu parlavi della Francia: sai, il noir stesso nasce lì e poi la gente va al cinema a vedere soprattutto i film francesi e poi gli altri. Noi abbiamo un'idea di patria di lieve; e, come dicevano i Coen, siamo un paese per vecchi da tutti punti di vista.

Come è possibile oggi mettere in linea il cuore con il cervello? Concretizzare i propri sogni e riuscire al contempo a pagare mutuo e bollette?

Quando arrivai a Roma, non avevo in tasca nemmeno mille lire, facevo tre lavori per mantenermi e frequentavo la scuola. La passione ti fa superare angosce e difficoltà; io adesso faccio delle traduzioni per una casa editrice, mi piace molto, ma ancora di più mi piace fare l'attrice. Come attrice magari guadagno molto bene per tre mesi, ma il resto dell'anno non posso contare su quel reddito. In America il cinema è un'industria e, se tu sei in grado di intrattenere, investono sul tuo lavoro; qui da noi no. Non buttiamo mai via la passione, questo mai, ma nel frattempo facciamo più lavori possibili; prima o poi qualcosa succede e soprattutto mai abbattersi ai no e bussare sempre a tutte le porte!