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sabato 20 aprile 2013

INTERVISTA A TONI TRUPIA, REGISTA

«Itaker – vietato agli italiani» è uno di quei film che oggi quasi non si fanno più in Italia, una di quelle opere che ha inciso direttamente nel dna l'attitudine non commerciale ma si rifà al registro musicato decenni fa da gente come Germi e Rosi. Ciò non significa anacronistico, superato, solo poco presentabile a chi con il cinema brama fare soldi a tutti i costi. Cinema introspettivo, analitico di una situazione, drammatico ma che non rinuncia al piacere di imprimere a fuoco nell'uomo il suo rapporto con gli altri, la società, se stesso. La pellicola, il cui attore principale è Francesco Scianna in una di quelle interpretazioni destinate a essere ricordate, è stato presentato in concorso la sera di venerdì 19 aprile al BA film festival. Cerimoniere nella serata, oltre allo stesso Scianna, il
regista Toni Trupia, il quale, a dispetto di un'età piuttosto giovane, ha inanellato già un primo appuntamento in lungo e un virtuoso sodalizio con Michele Placido. Toni infatti, tra le altre cose, ha scritto la sceneggiatura di «Vallanzasca – gli angeli del male» e fatto l'assistente alla regia in «Romanzo criminale».
Comincia a dipingere le caratteristiche del tuo ultimo «Itaker» e la sua genesi.
E' un film particolare che non prende di petto la realtà come sta facendo il cinema italiano; ma racconta una storia che si svolge negli anni '60, parla di immigrazione, di un bambino che parte dal Trentino per andare in Germania a cercare il padre. Ad accompagnarlo trova un giovane scavezzacollo, un napoletano, interpretato da Francesco Scianna; lui, per avere un passaporto pulito, visto che aveva avuto problemi con la giustizia, decide di riconsegnarlo al padre, ma poi matura il rapporto fra i due. Michele Placido, che mi aiutato a scriverlo e ha interpretato un personaggio, diede una suggestione dopo aver sentito per caso le vicende di un signore che dalla Puglia era andato a Milano a trovare il papà immigrato. Mi ha consegnato fra le mani questo spunto mettendomi anche un po' in crisi perché non rientrava nei miei programmi. In realtà, lavorandoci su, ho capito che molto di quello che il nostro Paese è oggi è frutto di esperienze simili a queste. Negli anni '60 anni il boom economico costò qualcosa, un sacrificio di molta gente perché l'Italia diventasse ricca.
Il film ancora non l'ho visto; da quello che dici, pare tu sia andato alla ricerca dell'umanizzazione del personaggio. E' così?
Certamente! Parlo di persone sradicate, che hanno patito molti drammi; il che, se ci pensi, non è troppo distante da quello che accade oggi, in cui si ricomincia a emigrare, la Germania è ridiventata appetibile.
Continua il suo legame preferenziale con Placido con «Itaker»; come ti sei trovato a lavorare con lui?
Con Michele ho vissuto un rapporto molto travagliato ma ricco, come accade spesso con personalità artistiche di quel livello, quando le certezze vanno in frantumi. In otto anni lo abbiamo fatto maturare e gli devo tantissimo, dai primi passi alla fiducia che mi ha donato come in occasione di «Vallanzasca».
In cui, presuppongo, hai conosciuto Scianna.
Esatto, lì lui interpretava il personaggio di Francis Turatello; ricordo ancora Michele che in ufficio me lo consegnò. Su Turatello non c'era moltissimo materiale, io avevo raccolto quanto possibile, ma ho vissuto con Francesco un'empatia immediata. E' una persona di grande umanità, di immediatezza cristallina; non ci ho pensato due volte quando c'è stato modo di lavorarci ancora. E' uno dei giovani attori di cui si parlerà; ha 31 anni, ma già le sue prime cose sono state di alto livello come in «Baarìa» di Tornatore. Non ha mai però fatto pesare la sua esperienza pregressa, è entrato nel personaggio, ha condiviso sotto tutti gli aspetti il progetto.
Francesco in «Itaker» ha svolto il classico lavoro penetrativo nelle vesti e nelle carni del personaggio?
Fa di tutto nell'entrare nella psicologia di chi interpreta; tieni conto che lui, siciliano, faceva un napoletano e se n'è stato a vivere a Napoli per due mesi assorbendo per due mesi gli umori della città. Questo andando oltre il folklore, gli stereotipi, non ha fatto Pulcinella, è stato straordinario.
Io credo che Placido sia da un ventina d'anni il traino artistico di una schiera di giovani e meno giovani registi interessati al cinema di genere/denuncia/verità, che fanno fatica ad emergere ma che hanno i numeri per imprimere il loro nome. Sei d'accordo e, se sì, vuoi esserne parte?
Sì per entrambe. Era molto tempo che i registi in Italia non cercavano il contatto con il pubblico in modo così corposo. La lezione di Michele è porsi costantemente il problema della realtà, di penetrarla, non lasciando perdere il senso dello spettacolo. I giovani cineasti, hai ragione, stanno vivendo un momento straziante; hanno energie interessanti, tornano ad esserci le sguardi, ma si disperdono. Per anni in Italia siamo andati avanti a far emergere lo sguardo di chi raccontava la storia; oggi stiamo riprendendo in mano le persone, le storie della gente in cui lo spettatore può riconoscersi. Essere popolari per un po' è stato come screditarsi e così i registi si sono chiusi nella campana di vetro facendo film quasi per loro stessi.
Nei film drammatici, per rendere la giusta atmosfera poi al pubblico, ritieni che anche sul set si debba agire imponendo un clima similare? Che regista sei in tal senso?
Non che credo che laddove ci siano delle pressioni esagerate si possa favorire la riuscita drammatica. Il set dev'essere luogo di grande serenità, di espressione personale; mi piace diventare amico di tutti quanti. Con gli attori siamo rimasti legati visceralmente anche dopo il film.
Hai già dei progetti per il futuro?
Sì, lo sto sviluppando con il produttore Sauro Falchi; è particolare e fa il punto sul periodo storico '60-'90 nel nostro Paese, ma lo fa con leggerezza, è in tono di commedia.
C'è qualche professionista del cinema con cui ti piacerebbe collaborare in futuro?
Mi sono convinto che, pur riconoscendo i grandi maestri, è sbagliato idealizzare per forza qualcuno; la riuscita di un film non dipende però dal peso di costoro, che però non sono a priori migliori di altri in quel determinato set. Mi piacerebbe più che altro lavorare con tanti giovani, con idee fresche, cercando di volta in volta la faccia o la mentalità giusta per quell'occasione.