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domenica 23 giugno 2013

ALESSANDRO BIRIACO: INTERVISTA DANCE

"Musicista, scrittore, programmatore... Ma prima di tutto sognatore! Altrimenti nulla sarebbe possibile".

Questo l'incipit della biografia di Alessandro Biriaco, il quale, declinando il proprio spettro artistico in tutta una serie di monicker fra cui Sander, sfugge ad esaustive e rassicuranti catalogazioni. E ciò non solo nell'ampio ventaglio di attività espressive in cui si annida la sua vis creativa, ma negli stessi modi di fare. Che Alessandro sia un "sognatore", un fautore del sogno come precondizione feconda e "motore mobile" imprescindibile di ogni progetto, lo si vede da molti elementi: occhi alquanto vispi, gestualità e comunicazione non verbale frenetiche, ragionamenti ad ampio raggio imbevuti di ragionevolezza e passione. Il suo eloquio torrenziale si muove agilmente sui concetti, fa ping pong fra ambiti del
sapere differenti ma compenetranti, individua strategie sinergiche con l'interlocutore per favorire l'humus necessario in vista di una crescita comune. Davvero difficile non lasciarsi contagiare dalla sua vèrve e davvero complicato per il vostro umile intervistatore contenere nei canonici 20/30 minuti di intervista l'impeto di stracciare il foglio delle domande e colloquiare con lui a ruota libera su cultura, senso critico individuale e musica nel senso più ampio del vocabolo.
Ah, se poi lo solleticate sulla fisica, troverete in lui un assertore con il coltello fra i dentri.

Lo abbiamo raggiunto sabato 22 giugno al Gioia69 club di Milano nella festa di compleanno del collega e amico Luca Zeta, con cui Sander da anni condivide un tandem artistico di tutto rispetto e protagonista di un esercito di singoli al fulmicotone.

Sfuggire ad etichette e catalogazioni, si diceva poco sopra. Perché mai questo sforzo? E come tramutarlo in realtà? Sander pare avere idee assai chiare.

Presentati ai lettori del mio blog descrivendoti come artista dagli inizi fino adesso.
Piacere a tutti, il mio nome d'arte è Sander; iniziai come pianista all'età di 11 anni, mi occupavo di jazz, quindi tutt'altri studi, ambienti e modi di ragionare. Tutto faceva pensare il contrario, ma dopo i 16 anni mi appassionai al mondo della dance quando scoprii il pezzo di Gigi D'Agostino "Elisir"; ero fregato, non potevo fare a meno di dirottarmi definitivamente su quel giro e la scoperta di progetti come Scooter fece il resto.
Spesso nelle tue canzoni si respira apertura, anelito alla libertà, profumo d'estate; penso a «Forever para ti», «Baila with me», «We are». Che cosa ti induce a concepire melodie del genere?
Non sono una persona cupa, ma quello che cerco di fare con la mia musica è raccontare l'amore da un punto di vista che spesso non viene affrontato: le storie che non nascono mai perché magari non corrisposte o non riescono al culmine in quanto qualcosa le stronca. Io una storia amorosa tranquilla in vita mia non l'ho mai vissuta e, se mi chiedi come si sta sereni con la compagna in spiaggia al mare, non so risponderti. Voglio portare l'emozione d'intensità che c'è in quel tipo d'amore; non essere corrisposti o soffrire non significa non amare e tutto ciò merita di essere espresso. Quindi quella voglia di libertà che tu senti nei miei pezzi può essere un'esorcizzazione della sensazione di prigionia di alcune situazioni.
Un'angolazione interessante soprattutto se nasce in un settore, l'italodance, dove i testi parlano di spensieratezza e talvolta potrebbeero perfino sembrare superficiali.
In realtà molti pezzi italodance, pensa a quelli degli anni 2000, hanno un registro anche malinconico; e così ho cercato di formare il mio marchio di fabbrica nel modo più ricco possibile.
Credo di parlare con la persona giusta, da buon amante dell'hands up quale io sono. Una volta Luca Zeta, scherzando mi disse che, quando collaborate, sei tu quello più scalmanato che tende a spingere l'acceleratore verso i 140 bpm, il basso in levare e i cori maranzissimi. Come ti spieghi che in Italia la scena hands up sia praticamente morta, mai partita. Questione di cultura musicale? Di investimento?
Siamo un Paese a parte: sì facciamo parte dell'Europa, ma culturalmente abbiamo un'altra mentalità; veniamo da un passato completamente diverso e, quando fuori c'erano i Kraftwerk, qui cantava Rita Pavone (e lo dico con il massimo rispetto per la Pavone e la nostra musica italiana). Ma sulla scena clubbing con il tempo siamo rimasti indietro; tecnicamente avremmo molto da insegnare, dagli anni '80 in avanti con artisti e industria musicale eravamo il traino, poi qualcosa si è bloccato. Voglio dire: oggi canzoni come quelle di David Guetta e Mike Candys sono italodance mascherate da house. Allora il problema diventa semantico: se la chiami house fa figo, se la chiami dance mi passa la voglia? Forse sì. Con la house ho potuto vedere con i miei occhi la gente che viene al locale solo per rimorchiare senza nemmeno rendersi conto delle sonorità proposte. Con la dance si vede la gente che ride, canta e balla! Una volta un buttafuori di un locale in cui suonavo con un'organizzazione mi disse: "Con voi non ho problemi, non ci sono mai risse"; questo perché con noi la gente non si annoiava, era presa dalla musica, e sentiva un sentimento di gioia e unione. C'è poi da dire che la gente oggi è più "rincoglionita", meno attenta e sensibile per scoprire piccolezze e concetti. 
In questi ultimi due anni ho intervistato diversi produttori italodance; è paradossale vedere il talento che emerge nel nostro Paese in merito e la concomitante freddezza di pubblico e critica. In cosa sbagliano a tuo parere? Cosa ti senti di dir loro?
Intendiamoci: gli unici errori di cui si può eventulmente parlare sono quelli armonici, ma per i gusti non si può riferirsi a giusto o sbagliato. La verità è che la gente non è più in grado di formarsi un gusto proprio; radio, televisione e pubblicità ci dicono come ragionare imponendoci un modello standardizzato. Io invece sono un fuoricasta totale, non me ne frega niente di uniformarmi; la questione è culturale alle radici. Questi giovani produttori sono arrivati in un'industria maledetta; in Italia oggi fare italo o hands up è impossibile! Per il mio nuovo singolo di settembre ho scelto di produrre fuori dai confini nazionali, mi spiace non lavorare qui, ma non voglio. Non accetto che una casa discografica mi dica che ho fatto un brano con troppo cantato. Mi rifiuto!
Ti confesso di essere un amante anche dei suoi hardstyle e hardcore. Come ti spieghi che quei tipi di scena in alcuni punti come il Piemonte e la Lombardia abbiano followers, serate, artisti, abbigliamento consono, investimento ed entusiasmo?
Sai perché? E' un ambiente che non si è mai sputtanato del tutto, mai commercializzato troppo; rimanendo di nicchia, si è mantenuto stabile senza accusare il tracollo come la italodance. Il genere è rimasto fedele a se stesso, non è sceso al livello "balli di gruppo". L'hardstyle di adesso non è lo stesso di quando ho cominciato io; ora è più melodico, ma "mena" sempre, non si è snaturato. Lunga vita e ogoglio nazionale per i nostri grandi djs hardstyle!
So che tuo padre è un jazzista, curioso il gap fra la tradizione musicale che hai ereditato e la scelta che poi hai compiuto. Cosa ti è rimasto di quella formazione?
Quando ha visto il mio cambiamento, gli è preso un infarto (ride)! Mi porto da quel genere la tecnica armonica, l'armonia del jazz è letteralmente perfetta; se segui quell'impostazione, fai qualcosa che con l'armonia classica non crei. E' come se dipingessi con tutti i colori.
Non sono così addentro al mondo della produzione musicale, ma la mia impressione è che, come in tanti altri settori, anche nel vostro sia preferibile se non necessario conoscere gente in alto per puntare in alto. Ma perché nel nostro Paese non riusciamo a uscire da questa logica clientelare e, diciamolo, a volte mafiosa?
Purtroppo vige la cattiva abitudine a non combattere quel sistema; vuoi o non vuoi, quelli che decidono le cose sono sempre pochi e i soliti. Viviamo nello Stato lobbistico e adesso con i talent si selezionano quelli che loro vogliono e si fa fare loro strada. Io non sono un rottamatore e anzi mi tolgo il cappello davanti a molti professionisti con "la barba bianca"; ma in ambiente musicale ci sono interessi ecnomici che rendono la vita durissima a chi vuol farcela solo con i propri mezzi.
Adoro Roma, la amo alla follia; non credo ci vivrei, ma mi affascina tantissimo e l'ho visitata 6/7 volte. Tu abiti lì, mi pare. Che puoi dirmi della capitale quanto a nightlife e clubbing?
Non entro in un locale romano dal 2004; l'ultima volta come ospite e riuscimmo a malapena di fare un po' di hands up. Roma è una città strana, ci sono eventi di tutti i tipi e ora come ora non saprei descriverti la scena; nella mia città non vado a ballare, vado fuori. Ce n'erano di locali come il Palladium dove lavorava il mio amico Vortex, ma, anche in quel caso, ormai vivo di soli ricordi.
Hai un curriculum da remixer di tutto rispetto. Hai lavorato anche su Weststylers «Miss you everyday» e Dancefire/D-JMC «Emotion», due pezzi dotati di bellezza cristallina. Io ho un problema: non sopporto quando nell'arte certi capitoli si perdono nel dimenticatoio. Cosa ne pensi tu?
Oggi il mercato musicale con il digitale si è ampliato a dismisura; adesso gente nella propria camera da letto si inventa discografico e, pagando una piccola percentuale, stampa dischi. Posso dirti che dall'estero mi arrivano le royalties, quindi il problema è in Italia; siamo abituati a farci dire quello che dobbiamo fare, lo si vede in tutti gli ambiti. Ho una grande passione per cinema e letteratura; siamo sommersi fra prodotti di plastica che ingolfano le varie scene e fanno perdere quei capitoli che meriterebbero di essere ricordati e amati.
Qual'è il tuo parametro per determinare il successo di una persona? Nel tuo caso il successo comunemente inteso è assai difficile da raggiungere, dato che con Sander e tutti i tuoi aliases, percorri territori poco battuti e non mainstream. Il successo è dunque da coltivare nei profondi recessi del proprio essere piuttosto che altrove, come diceva qualcuno?
Successo è quando fai ciò che fai e lo ami e lo segui con passione; se riesci a farlo ogni giorno come fosse il primo, sei arrivato al massimo. Chi se ne frega se sei famoso o non famoso; se una sola persona o mille persone si vengono a complimentare con me per qualcosa, il mio rispetto ad entrambi sarà uguale. Se arrivi a toccare il cuore anche solo di una persona, hai già avuto successo.
Che cosa dobbiamo attenderci da te nel prossimo futuro?
Parecchie cose per il futuro! Il singolo di settembre sarà lanciato a 146 bpm, poi l'ep con Luca Zeta; ritornerò con il progetto Ravekorr, poi un'idea pop-dance più il nuovo Aspyr (di cui ho fatto uscire "Call me" ad aprile). Senza contare il libro che sto scrivendo: pura fantascienza distopica.