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venerdì 7 giugno 2013

OSSESSIONE

OSSESSIONE
Genere: drammatico
Anno: 1943
Durata: 134'

Voto: 9,5

Recensione:
Come impostare il discorso per questo magnifico capolavoro del Maestro Visconti? Non ci si può limitare a una fredda cronaca, benché magari compendiosa. Come fermare infatti il torrenziale fiume di pensieri, suggestioni ed emozioni che un'Opera tanto vasta e pregna si porta appresso? La sua genialità, la sua pienezza, il suo essere «tanto» sotto tanti punti di vista tracima fuori dalle sponde del cuore di chi vive il cinema veramente come sorgente di vita e non solo mera fonte di intrattenimento.
Incipit battesimale del neorealismo, Ossessione (per cui arrivo in questi giorni alla terza visione) sostanzia il
concetto di esperienza. Esperire qualcosa significa appunto vivere sulla pelle, nella carne (nel bene o nel male) un momento di esistenza. E un film del genere non può graffiare leggermente la superficie, bensì scava con violenza e baldanza dentro lo spettatore sensibile sussurrandogli il linguaggio segreto della pura arte.
Chi vede si ritrova in bilico, talvolta travolto in tempesta talvolta fluttuando come fra soffici nuvole di latte, fra un cospicuo numero di mondi interiori solleticati da queste vicende ambientate nella bassa ferrarese. L'attenzione alle location (la locanda, il paese, le strade polverose divengono protagoniste aggiunte e neanche secondarie), l'aspetto criminale della vicenda, l'amore che si fa davvero «ossessione», l'anelito alla libertà del protagonista (un sognatore che intravede nello Spagnolo una possibilità di affrancarsi da un routine castrante e molle), il senso di concretezza della protagonista, la critica al mondo piccolo borghese del marito e della gente come lui (meravigliosa la scena in cui Girotti schiaffeggia la Calamai in strada e si forma all'istante un capannello di gente attorno a loro).
Visconti, da vero cerimoniere di ordine qual è sempre stato, non perde mai di vista la struttura narrativa, che anzi incede con la possenza e la stabilità di un pesante mezzo cigolato. Ogni secondo qui ha un senso, più di due ore e non sentirle, non un benché minimo calo, un quadro di insieme di incredibile efficacia.
Il tessuto connettivo di tutta questa messe di elementi è l'amore, questo motore immobile degli umani destini che determina scelte e va andare gli eventi in questo o quel modo. E si intenda «amore» come rapporti interpersonali, seduzione amorosa e amicale, scelta di donarsi o meno agli altri. Questa componente è centrale nella pellicola ed attorno ad essa Visconti fa dipartire con creatività sconvolgente tutte le altre suddette pulsioni.
Non vi è aspetto che non venga dotato di immenso. Che dire dunque delle recitazioni e di quanto i personaggi siano scolpiti e stupendamente intarsiati: la Calamai è semplicemente divina (si vedano le espressioni di rapimento nei baci con l'amato), lo stesso dicasi per Girotti. E il Bregana, perfetto e a suo modo vomitevole esempio di bottegaio affarista convinto che nel soldo alberghi l'ovvia mission di ciascun uomo, uomo-bestia di sallustiana memoria incapace di sedare le voluttà del ventre e della brama materiale. Poi lo Spagnolo, dotato di volto e voce interessantissimi, simbolo di quell'attitudine al sogno che ha connotato tante persone in tutte le epoche storiche. E la prostituta ballerina? Volto delizioso e ruolo altrettanto indovinato.
La fotografia chiaro-scura ogni anfratto del film, le musiche operistiche forniscono fervido contraltare al più proletario registro di personaggi e ambiente. E poi quella provincia in cui pare che non accada mai nulla, ma in cui la gente parla, giudica, hai il suo fiato addosso, la sua ignoranza esplode in sibili impercettibili ma acuminati.