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venerdì 6 giugno 2014

ACTIVATOR: INTERVISTA




Con orgoglio posso affermare che questo blog con l’intervista odierna ha raggiunto tre dei quattro “big four” della musica hardstyle tricolore. Dopo Tatanka e Techoboy, anche Activator oggi penetra in queste lande digitali; manca all’appello solo Zatox, che spero e credo di poter avere il piacere di conoscere prossimamente.
In realtà Manuel Tessarollo, questo il nome di battesimo di Activator, non diviene mero elemento statistico;
lungi dal rappresentare una tacca sul calendario o oggetto di orgoglio e narcisismo personale, il nostro si rivela una preziosa scoperta dando vita forse all’intervista più gratificante in ambito hard da me condotta. Atteggiamento e piglio di chi è ben conscio del bagaglio che si porta dentro, ha risposto con pertinenza e vivida passione alle nostre domande dimostrando che  chi veramente ama il proprio mondo interiore contagia l’esterno con brulicante positività.
Il backstage dello Spazio A4 club ha ospitato la nostra chiacchierata, il cui frutto potete leggerlo poco sotto. Ente organizzatore, come sempre, Insound di Torino per l’ultimo evento della stagione prima dell’inizio dell’estate.
A Manuel  la parola dopo un dj set che ha letteralmente frantumato le coronarie dei fautori dell’hardstyle più acre e debordante.

Come ti sei trovato questa sera con il pubblico dello Spazio A4 e con l’organizzazione Insound?
E’ stata una serata contro le mie aspettative: vuoi che era la chiusura vuoi che è arrivato qualcuno che non ha molta possibilità di andare all’estero a vedermi… Mi sono divertito! Non ho mai troppe aspettative da una serata italiana, non ci suono spesso qui, ebbi anche due anni di stacco dal nostro Paese. All’estero mi trovi spesso e non faccio mai in Italia un set uguale a quello che balleresti fuori dai nostri confini; cerco sempre di accontentare la pista con cose con il basso in levare. Se parliamo di Olanda, lì sono aperti a tutto, per assurdo potresti fare un set di soli dischi nuovi e loro si scannerebbero in pista.
Colpisce “Greta is great”, canzone dedicata, forse anche insieme a Lullaby, a tua figlia, che tra l’altro omaggi in una ninna su un tenero video di youtube. Come sei arrivato a concepire una canzone tanto particolare e quali in generale sono stati i tuoi cambiamenti dopo la nascita della tua Greta?
Il titolo del pezzo è per assonanza di suoni; i primi giorni in cui lei piangeva sempre decisi, con l’accordo di mia moglie, di registrarla. Ne venne fuori un suono tramite i distorsori, il resto l’ha fatto una fiaba che ci ho costruito intorno; se uno sa l’inglese, capisce che la bimba piange perché vuole ascoltare della musica hard. Io sono sempre stato fuori dalla mischia, non ho mai seguito quello che andava per la maggiore; per bienni è andata bene per altri meno e non perché fosse calato il mio livello di produzione. Sai, la gente non segue sempre con lo stesso interesse e nel 2010 avvertii un calo di risposta nei miei confronti per via di subground, l’altro mio filone che porto avanti come Acti. Molti promoter non capivano più se io fossi venuto a fare hardstyle o o subground e non mi davano il booking; dopo che si sono abituati a queste diverse strade, i problemi sono finiti. E poi mi sono schierato come Activator senza passare come prima da produzioni molto diverse l’una dall’altra: ora sono raw style. Sull’aspetto umano rispetto a mia figlia Greta ti posso dire che, dopo un periodo iniziale in cui mi preoccupai per il cambio di vita, sono entrato in una tranquilla routine; ci fai con piacere l’abitudine anche perché c’è tanto affetto verso di lei. Anche grazie all’aiuto dei nonni, riesco a passare magari non più le otto ore in studio ma sì le cinque/sei e ogni tanto ci porto anche lei. Ora è attirata da tutte le luci e i pulsanti! La ninna nanna è stata da me scritta mentre lei nasceva; volevo farla dormire uscendo dalle solite canzoncine e credo di esserci riuscito perché, ogni volta che la sente, si incanta lasciandosi andare e rilassandosi.
Ti abbiamo visto in varie occasioni collaborare con vari djs importanti hardstyle: facendo due nomi, mi vengono in mente Zatox (“Make some noise” e Technoboy “Steam train”). Visto che siete tutti big della scena tricolore, ciascuno con il proprio stile definito, come si riesce in quei casi a collegare la voglia di affermare il proprio stile e la propria personalità e il doverne unire due?
Dipende con chi mi trovo a lavorare: con Zatox l’intesa è sempre stata istantanea, andiamo abbastanza a memoria; dal 2006 abbiamo fatto quasi un disco all’anno. Lui è un maestro della cassa, io mi occupavo delle melodie e sono uscite cose ottime; o ci si trovava nel mio studio o nel suo, mentre “Make some noise”, l’ultimo, ha goduto del passaggio dei file in modo moderno e digitale. Technoboy ha sposato la causa di subground e mi propose una collaborazione in un pezzo in cui si riconosce perfettamente il reciproco stile. Con Tatanka è stato più difficoltoso lavorare: Valerio non cede facilmente ai gusti dell’altro.
Insieme a Francesco Zeta hai remixato il classico degli Iron Maiden “Fear of the dark”, che nella vostra versione suona come “Fear and dark”. Avendo molto frequentato quella scena diversi anni fa, so che il metallaro medio, quanto meno prima, era intransigente e ortodosso. Cosa risponderesti se uno di loro ti accusasse di aver stravolto un pezzo puramente rock?
Lo potrei capire. Mi ci sono trovato a parlare con rockettari e metallari e ho percepito che di base sono schieratissimi. Quel disco mi ha fatto patire parecchio appunto per questa attitudine: non trovavo nessuno che mi prestasse la voce per il cantato. Mi sono poi imbattuto in una cover band argentina con la cover già fatta: ho chiesto loro di poter prendere la parte cantata e loro furono gentilissimi a dirmi sì. Lo feci per correttezza perché legalmente potevo riprendere una cover senza interpellare gli interessati. Il riff di chitarra si sposava bene in chiave hardstyle e d’altronde era il periodo dei rifacimenti rock; se ben ricordi, Zany riprese “Nothing else matter” dei Metallica.
Lo sai che fossi venuto a conoscere la tua versione a 20/30 anni l’avrei odiata?
Ma sai, è nell’ordine delle cose che a una certa età si viva con massimo traporto e intransigenza una passione musicale o un sistema di valori e idee. Anche alcuni ragazzi che sono scalmanati in pista stanotte allo spazio A4 schifano la house e d’altronde quanti gabber odiano lo stesso hardstyle!
Due dei tuoi episodi che più preferisco sono “Supersonic bass” e “The sign”; secondo la mia sensibilità appartengono a quella frangia di pezzi hardstyle epici e trascinanti un po’ come Kodex – “Heroes of hardstyle” o Doctor Zot “Only the brave”. Ritieni che questa capacità della vostra musica di aggregare e far ballare i ragazzi creando un senso di appartenenza sia una delle sue forze negli ultimi anni?
Io sono legatissimo al genere epico perché ho una forte passione per la musica classica. “The sign” riprende Beethoven, “Supersonic bass” invece un pezzi anni ’70; “The sign” è stato il primo disco che ha dato vita al mio declino, un periodo buio: la gente stava perdendo interesse per il nome Activator o si aspettava dell’altro. Sono stato il primo a usare accordi epici nell’hardstyle, questo credo di poterlo dire. E, venendo alla tua domanda, intuii che quelle atmosfere potevano fare bene al nostro movimento perché lanciavano e lanciano grandi masse nell’unione e nel divertimento. I fatti mi hanno dato ragione e infatti oggi i pezzi epici si sprecano.
Un’altra traccia che mi scuote sempre molto è “Winter song” che mi ricorda certa ricerca dei particolari di un grande artista come Frontliner, uno dei miei preferiti nel genere. Che ne pensi della mia analisi e quali sono a tuo avviso i migliori esponenti hardstyle oggi sul mercato?
Può essere vero quello che dici: quel disco nasce da un cantato risalente a molti anni prima che avevo nel pc e non pensato per l’hardstyle. La trance sognante era finita, decisi di provare a ributtarlo in chiave hard; se devo essere sincero, passò un po’ inosservato forse perché era incluso in un ep in cui spiccavano cose decisamente più dure come “Big fat puncake”. Io sarei molto legato a quel tipo di suono e, credimi, mi pesa non poterlo più trattare come Activator; ma sono più credibile alla gente come raw style. Il mio amore per la melodia però è tale che sto pensando di propormi come ghost producer per qualcun altro; ho idee parcheggiate nel computer e soprattutto una gran voglia di emozionare le persone. Uno che al momento potrebbe dar vita a un disco come “Winter song” è Code black per cui provo grandissima stima; oppure Wasted penguinz. Frontliner? Un grande di certo.
Mi è rimasta impressa anche “Summer breeze”, che ti vede cavalcare molto l’approccio più sunny, “estivo” appunto che prevale negli ultimi 2-3 anni nel genere. Come si sposa una canzone del genere come bordate come “Brutal”, “Sparta” o “From dancefloor to dancefloor”?
Vado anche a periodi e a mood; conta che, se ti dico che ascolto tutta la musica, non sono come quelli che conoscono tre canzoni in croce e raccontano questa frase fatta. Io amo tutta la musica e ho prodotto praticamente qualsiasi genere a parte latino americano. Ho fatto anche un album di hip-hop italiano.
Come come? Questo proprio mi era sfuggito…
Cantavo io, fu divertente ma, credimi, lo feci senza sforzi perché sento di avere dentro tantissimi sapori, tantissime emozioni da portare alle persone. Soprattutto nella prima metà degli anni 2000 amavo diversificarmi, poi mi concentrai di più su Activator. Da “Winter song” in poi decisi di darmi solo al raw, dovevo riaffermare la mia figura e vedevo che la massa mi seguiva su quel frangente; facendo questo come lavoro, devo pensare a questioni del genere, capisci? Nella dance prima si ragionava a stagioni: a febbraio si elaboravano dischi freschi per l’estate, ad agosto di pensava già all’inverno. Nel 1994-’95 certi gruppi portavano i bpm più veloci dell’hardstyle come Scooter o Digital boy. Nell’hardstyle c’è meno calcolo ma è indubbio che negli ultimi anni la nostra musica si è molto commercializzata.
E’ risaputo che in questi ultimi anni sia nell’hardstyle che in tanti generi si producano più canzoni di prima; le (ormai non più) nuove tecnologie consentono a chiunque di produrre qualcosa. Mi dici a tuo parere i pregi e i difetti di questa situazione?
Sono contento di questo: ho sentito troppa gente lamentarsi del fatto che ci si copia l’uno con l’altro. In realtà oggi ognuno ci si può esprimere; non era una pregio avere disponibili dieci milioni per comprare attrezzatura o dover conoscere per forza qualcuno ai piani alti che ti facesse accedere a quella tecnologia e a quel sapere. Oggi è tutto più giustamente e comodamente democratico e ci si può mettere a pari livello di partenza sia che tu sia figlio di un capitano di industria che di un operaio. Non è meraviglioso tutto ciò? Un sedicenne si mette in gioco con un quarantenne. E comunque non dobbiamo scoprirci ora invasi dalla tecnologia: la concorrenza delle nuove leve c’è stata in ogni decennio. Ecco, posso dirti che oggi si fa più fatica a trovare artisti di successo nel marasma di roba che esce; prima il negoziante ti dava in mano 30 dischi a seconda dei tuoi gusti musicali, ora sei tu da solo fra youtube o spotify a farti un’idea delle tante nuove uscite. La gente compra ancora, sembra strano ma utilizza i-tunes e altre piattaforme di commercio digitale con costanza.
Mi interessa la storia di persone come te che per lavoro si trovano a girare spesso. Visto che gettare fango sull’Italia sembra lo spot preferito di tanti italiani, ti va di dirmi qualche aspetto positivo del nostro Paese che ti fa piacere esportare all’estero?
Non ho nulla da dire contro l’Italia, sono uno di quelli che porta alta la bandiera fuori dai nostri confini; soprattutto in ambito musicale credo che non dobbiamo invidiare nulla a nessuno. Se poi la dobbiamo sempre metterla sull’organizzazione di eventi imparagonabili a certi Stati esteri come Olanda, Germania o Belgio… Fatemi l’elenco di quanti Paesi al mondo possono paragonarsi a quei livelli! Il discorso è molto ampio: il disfattismo e la lamentela sembrano essere gli sport nazionali, non se ne può davvero più di persone fortunate che però continuano a vedere il male che abbiamo. Bologna o Torino sono realtà importanti per i suoni hard,  lo vogliamo dimenticare? E pensa quante realtà house italiane importanti dall’estero ci vengono ammirate e noi ce ne dimentichiamo!
Giorni fa un’importante esponente italiano della trance music, Manuel Le Saux,  mi ha detto una cosa che, non guardando il vostro ambiente dall’interno, non sapevo. Mi raccontava che, quando un artista arriva a un buon livello, i manager e i consulenti intorno a lui gli fanno spesso cambiare carattere facendogli montare la testa. E’ proprio così?
Potrei essere d’accordo ma non so se questo dipenda solo dal manager; ho conosciuto persone che si sono montate da sole la testa, quindi sta tanto anche al carattere individuale. Restando al nostro ambiente, ho spesso sentito parlare male di uno che è arrivato e poi osannarlo! Io sono sempre rimasto me stesso, non è una frase fatta e possono confermartelo un po’ tutti; questo forse non mi ha aiutato e sai perché? Perché per la gente è bello vederti come irrangiungibile; se invece sei troppo frendly, alla fine diventi come loro e perdi smalto. E’ un po’ come se dicessero: “Guarda, Activator che viene a berci una birra con noi! Guarda invece Brennan Heart come è distante, lui sì che se lo può permettere!”. E’ anche questione di quanto sei conscio delle tue potenzialità: ho l’impressione che alcuni se la tirano perché con l’arroganza devono mascherare insicurezze e ansie da prestazione, soprattutto quelli che passano come mezzi geni e poi i pezzi se li fanno scrivere da altri. Io credo di essere nato per stare nella musica e mi viene naturale, non devo sforzarmi e mi piace condividere questa dote con gli altri; se poi loro mi apprezzano, tanto meglio, ma non posso basarmi solo sul consenso esterno.
Se tra qualche anno ti arrivasse una proposta indecente ma che profuma di successo e denaro: abbinare il nome Activator e sonorità che vanno per la maggiore in cambio di una bella paccata di euro (un po’ come ha fatto Tiesto dandosi alla progressive house). Cosa risponderesti?
Penso che lo farei. Dopo anni di questo lavoro devi concretizzare; se fossi da solo, sarebbe una cosa ma con una famiglia devo pensare anche a chi voglio bene. Farei comunque una musica che ha la mia impronta; Tiesto ormai non fa più musica, mette il suo nome su musica che gli piace. Io non vorrei mai arrivare a quel punto; non voglio criticarlo perché ha dimostrato nel tempo di avere un fiuto assoluto per il business, ma non risponde alla mia idea di vita quella.