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giovedì 19 novembre 2015

OGM 909: INTERVISTA

Chi conosce bene il sottoscritto sa che ho un debole per i romani e la cadenza capitolina; quando uno di loro mi si approccia, sono pronto a sorvolare anche su alcuni suoi difetti per godere di quella cantilena suadente. La chiacchierata con Carlo, in arte OGM 909, è stata deliziata da questo aspetto ma anche dalla sua inclinazione al dialogo, la messa in discussione e la viva passione che lo ha condotto far parlare di sé con tutta una serie di singoli di elettronica estrema contaminata e intrisa di sana violenza.
Lo abbiamo intercettato allo Spazio A4 di Santhià (Vc) nell'ambito di un evento targato Insound.
Ecco il frutto dell'interessante conversazione.

Come ti sei trovato questa sera a suonare con i ragazzi dell'organizzazione Insound?
Mi sono trovato bene, sanno dove vogliono andare e hanno tirato fuori un appuntamento davvero
bello. Averne di organizzazioni del genere a Roma, dove invece c'è calma piatta per la musica che faccio.

Raccontami i tuoi esordi musicali e quale processo ti ha portato a essere quello che sei adesso.
Tutto ha avuto origine con il fatto che sono diventato violinista, nella mia famiglia c'era la fissa per la musica; da lì è cominciato un percorso tutto mio che mi ha portato all'hardcore. Nel periodo 2000 frequentavo rave illegali e con mio fratello e amici di una vita abbiamo cominciato a organizzarne con la particolarità che al posto dell'hard techno facevamo hardcore dall'inizio alla fine del rave. Poi tanta gente è cresciuta, si è fatta i cazzi suoi e io ho continuato per la mia strada; del collettivo faceva parte CHMD che ora vive in Olanda, sta facendo una certa carriera e ha una radio. Io sono molto più produttore che dj; suonavo coi vinili tanti anni fa ma poi ho sempre voluto fare la mia musica. Il violino mi ha dato una grande impostazione e mi ero ripromesso di portarla alla musica elettronica. Fino allo scorso anno facevo solo live set; il mio nome deriva proprio da lì perché l'Mc 909 era un sintetizzatore che usavo dal vivo. Con quello facevo tutto: dalla stesura della traccia al mastering, la comprai nel 2005 e la usai tanti anni. Purtroppo nel tempo mi sono accorto che di tutto questo non gliene frega un cazzo a nessuno e ho un po' perso la passione. Anche la collaborazione con Dj Jappo mi ha arricchito e ho capito la giusta direzione da prendere.

E' forse un problema di ignoranza e cultura generale?
Assolutamente! Alla maggior parte della gente che viene alla serate di tecnologia non gliene frega molto e allora che senso ha andare avanti a perfezionarsi in quelle cose? Io stasera, come spesso faccio, ho suonato tutte tracce mie e la quantità di canzoni che ho fatto deriva anche dalla capacità di usare quel mezzo.

La frenchcore, che negli ultimi anni ha conosciuto una grande espansione di consenso, rispetto alla hardcore ha un'arma in più: la possibilità di sperimentazione. Sia con bpm velocissimi che con le pause si possono inserire break melodici a piacimento. Sei d'accordo?
Attualmente no. Quando iniziai a sentire musica elettronica, era il 2000, andai verso la techno che mi pareva più sperimentale; nel 2003/2004 mi presi molto con la french per artisti del calibro di Speedfreak e Radium, i padri del movimento. A oggi questo genere lo vedo davvero al capolinea, tutto quello che c'era da dire è stato detto; a parte qualche artista come The sickest squad che stimo tantissimo come persone e produttori, ma fanno qualcosa di molto personale. Sono esigente nella musica, anche con me stesso e lavorare con Jappo mi ha peggiorato (ride). La french è stata una grande idea ma adesso è diventata prendere le casse di una volta e metterci sopra delle musichette. La libertà che dici tu c'è stata in passato ma oggi è morta e diventata troppo commerciale.

Mi ha colpito la tua versatilità in fatto di musica; nei vari aliases che hai come The qualunquist o CarlettO G.M. Accanto ai suoi estremi ti si sente percorrere l'idm, il drum & bass, la breakcore, l'industrial. Ritieni che per essere un buon compositore di musica variegata occorra essere un ascoltatore ampio, curioso e competente?
Certamente sì! Lo dico sempre ai ragazzi della mia etichetta: ascoltate con umiltà gli altri perché lì sta lo stimolo più forte nella sfida di migliorarlo; non c'è nulla di male a rubare idee altrui piegandole alla mie necessità di espressione. Io sono fissato con rap americano, musica classica, punk/hardcore americano e tantissimo altro.

Ho particolarmente apprezzato il tuo pezzo “666” che, dopo una prima parte furiosa, si concede nel finale un'atmosfera più oscura e tetra. C'è un significato concettuale nella canzone?
A me piace provocare e dare fastidio a chi crede nella cristianità; non intendo offendere nessuno comunque. Il concept è sul diavolo e nel coro si sente con chiarezza. Conta che per un po' ho fatto il percorso accademico con il violino ma poi, complice anche l'adolescenza, mi sono perso. Abbandonato quello, ho lavorato con un gruppo che faceva musica dell'est Europa e suonavamo per strada e in manifestazioni. Mi chiamavano “Lucifero” perché per loro un biondo non poteva che essere un figlio del diavolo.

Non posso non chiederti qualcosa del pezzo uscito con il moniker Unexist & OGM909 feat.Kerosene – Questa è hardcore. Mi ha ricordato da vicino pezzi che hanno fatto successo come “Hardcore Italia” o anche “Fuckin'cassa” di Giangy. Come è nato il progetto e che futuro può avere il cantato italiano negli hard sounds?
Quello è l'esame che mi ha fatto Jappo per testarmi; era un vocal difficile non solo perché complicato come metrica e poi perché in italiano. Non potevamo correre il rischio del banale patetico della lingua italiana e abbiamo cercato di tirar fuori qualcosa che spaccasse. E' stato un parto interminabile, lo abbiamo cambiato tre mila volta; siamo partiti con il testo scritto da Kerosene, Vincenzo Pagano, a Jappo è piaciuto e ci abbiamo lavorato sopra. Ancora adesso ne sono soddisfatto.

Non scopro certo io che l'Italia in fatto di suoni di elettronica estrema non prende lezioni da nessuno: sono tanti i nostri talenti in ambito soprattutto hardstyle che vengono considerati punti di riferimento anche fuori confine. Cosa manca alla nostra Nazione per competere con Olanda, Germania o Belgio?
Intanto manca pubblico! A Roma, la capitale d'Italia, ci sono piccoli organizzatori che vedono il business, si improvvisano, non amano questi suoni, provano ma falliscono, non c'è una scena organizzata. Tutto questo accade anche nelle altre grandi città, solo voi qui state bene; questo difetto ci dà meno potere contrattuale quando andiamo a suonare all'estero. Non possiamo pretendere niente quando usciamo, lo sanno come stiamo messi.

A volte intervistando i djs per Insound mi sono reso conto che nel nostro Paese non è facile fare gruppo perché prevalgono i personalismi. E' proprio vero?
Sì e lo sto vedendo adesso: in Olanda, piuttosto che far suonare un italiano, chiamano un loro connazionale di basso livello. In Italia, pur di far gente, chiamano uno da fuori anche se i djs più forti ce li abbiamo noi. Io non ragiono così e sono convinto che l'unico modo vero di migliorare sia imparare dai compagni e non dai maestri. Ho convertito da quest'anno la mia etichetta, la Avanti records, in una specie di collettivo dove le decisioni le prende il gruppo di artisti presenti. Le etichette non serve più a niente, meglio il nostro laboratorio di idee senza invidie e pieno di suggerimenti di crescita collettiva. Poi capisco che l'artista è egoista e geloso, vuole esprimere il proprio io, ma c'è un aspetto pratico di apprendere con umiltà.

Citando una tua canzone, la musica per molti ragazzi giovani e meno giovani è una vera e propria “droga per i timpani”. Prova a descrivermi le immagini che ti si formano dentro o le sensazioni quando sei preso bene con la musica.
A me piacciono i quadri molto colorati e la musica colorata; amo molti elementi tanto che mi è sempre stato detto che metto troppa roba nella stessa canzone. Mi sto effettivamente rendendo conto di questo e che piace a me ma è difficile farla arrivare agli altri. Le sensazioni? Fino a un certo periodo la mia musica è stata composta soprattutto grazie all'odio e alla rabbia verso certe sfumature di società e sentimenti. Adesso sono una persona diversa e credo che chiunque deve trovare la propria fonte di ispirazione; io giro sempre con un registratore e prendo spesso suoni che qualche volta uso nella produzione. Per me l'hardcore e non solo per me è la valvola di sfogo del sabato sera e sono contento che sia così; questa musica libera davvero l'energia!

Appunto non bisogna frequentare tante volte le serate hard per rendersi conto che la media anagrafica dei followers è alquanto bassa: diciamo 16/24? Che cosa ritieni siano in grado di dare davvero suoni così potenti in un'età tardo adolescenziale?
Citerei anche gente più grande ad esempio una persona che mi finanzia, socio in affari: fa l'avvocato e tutta la settimana fa una vita normale ma, cazzo, quando al sabato viene alla nostra serata, torna ai suoi 14 anni. E' normale e sano! Dopo una settimana che sta in mezzo a infamoni che vogliono accoltellarsi, deve sfogarsi. Io poi odio gli avvocati. Teniamo le pulsioni negative nelle canzoni e non mettiamole in pratica.

Un'analisi forse superficiale fa derivare la french direttamente dai rave illegal; il fenomeno certo è più complesso ma ha un fondo di verità. Tu come ti poni oggi verso quel genere di eventi?
Ne ho organizzati un po' e ho avuto delle denunce; a Roma è diventato un rischio e poi la gente è cambiata. Il rave non lo fai per soldi o fama, ma se c'è la situazione che piace in primis a te che organizzi. Prima c'era più spirito aggregativo, a Roma sono finiti nel 2007, oggi fanno cose ridicole. Nel 2004 a mettere in piedi quegli eventi eravamo 40 persone tutte amiche, oggi siamo rimasti in 3-4 e io non ne organizzo più.

Un tuo pezzo si intitola “I got guns”, “Io ho pistole”. E il vocabolo “gun” ricorre più volte nella tua discografia come in “Guns blazing” o “My guns”. Suppongo si tratti di un'esagerazione dei concetti funzionale alla violenza della musica, ma cosa ne pensi della legittima difesa e dell'uso di armi per difesa personale in casa propria?
Discorso molto complesso. In America il fatto di avere un'arma ha un significato storico e culturale e c'è un emendamento che dice che è lecito difendere la propria casa con ogni mezzo. Io non sono possessivo su nulla ma sui miei spazi non transigo; la violazione di domicilio per me è sacra e parlo per esperienza personale. A mio fratello sono entrati in casa e non ha potuto fare niente contro quei ladri; il mio incubo è proprio quello! Sono spesso a casa, abito a Roma centro, e sono diventato un po' il difensore del palazzo. Sarei però molto ma molto cauto a dare armi alla gente perché non abbiamo la giusta mentalità per adoperarle.